Secondo Ketchum, il 45% dei consumatori ha cambiato i suoi brand di riferimento

di Mirko Cuneo

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Cambio radicale nei gusti in fatto di brand. Uno studio condotto dall’agenzia di comunicazione americana Ketchum afferma che durante il lockdown, il 45% dei consumatori ha cambiato radicalmente i propri gusti relativi ai marchi.

Il report chiamato “Brand Reckoning 2020: How Crisis Culture Is Redefining Consumer Behavior, Loyalty and Values” ha rivelato che il 74% dei consumatori ha deciso di rivedere i propri brand di riferimento in favore di quelli proposti dal movimento Black Lives Matter. Il 45% dei consumatori ha, infatti, cambiato almeno un brand di riferimento e il 62% si aspetta di cambiare ancora gusti e predisposizioni entro la fine dell’emergenza sanitaria. L’88% dei consumatori, invece, ha preferito indirizzare i propri acquisti verso marchi più etici e con maggiore attenzione nei riguardi dei propri dipendenti.

Verso un mercato più consapevole

È un messaggio importante, questo, per le aziende di tutto il mondo: una delle note positive di questa emergenza sanitaria è la consapevolezza diffusa che una vita più sostenibile è possibile, sia dal punto di vista del rispetto del pianeta, sia per ciò che concerne i diritti civili.

In questa prospettiva, i brand che ancora non si sono allineati a questo pensiero devono necessariamente prendere provvedimenti e rivedere il loro messaggio, la loro missione, il loro mercato. In una parola una rivalutazione del personal branding aziendale.

Gli studi condotti da Ketchum, infatti, rivelano che molti consumatori hanno spostato la loro attenzione su brand più inclusivi, più rispettosi del lavoro e dei propri dipendenti, più attenti alla diversità in ogni senso possibile.

Non tutti sperano in un cambiamento

Non tutti, però, sono disposti a cambiare. Lo studio americano ha evidenziato una percentuale del 33% di consumatori definita “Retro reengagers” (i nostalgici del passato, quelli che sperano di ritornare alla vita di prima), che spera di poter tornare alle vecchie abitudini, fatte di spazi pubblici e condivisi senza mascherina e non necessariamente inclusione e diversità. Il 22% è rappresentato invece dagli “Open Minded Explorers”, i curiosi dalla mente aperta, che invece sperano di ritrovare un mondo più moderno, una volta finita l’emergenza sanitaria. Quest’ultima percentuale, ovviamente, è popolata da giovani con una cultura medio-alta e una propensione al futuro e alla tecnologia, nulla a che vedere con il 33% dei nostalgici sopra citati.

I cosiddetti “Worried Withholders” (i moderati preoccupati, così nominati da Ketchum) rappresentano il 20% dei consumatori e, secondo gli studi, vorrebbero non uscire mai dalla loro zona di comfort e si trovano a disagio a frequentare spazi aperti in piena emergenza sanitaria. Questa percentuale è popolata mediamente da conservatori di centro, che non si fanno influenzare particolarmente dalla pubblicità. I Worried Withholders molto difficilmente cambieranno i propri gusti durante la pandemia.

Infine, i “Cautious questioners” (le persone caute che tendono a farsi molte domande), rappresentano il 25% dei consumatori e si ritengono politicamente liberali, rispettano le distanze di sicurezza e preferiscono rimanere ancora in casa ed evitare gli spazi affollati. Per loro, gli acquisti in questo periodo sono da indirizzare verso brand inclusivi e che guardano alle diversità.

I brand devono rivedere la loro missione

Un nuovo mercato si apre davanti ai nostri occhi, dopo la pandemia: e mentre alcuni brand continuano a cavalcare la loro onda fatta di inclusività e rispetto, per molti altri è giunto il momento di guardare al futuro. Questa volta sul serio.

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Mirko Cuneo

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